I miei nonni nella storia di Venezia

Studiando la storia di Venezia incontriamo moltissimi personaggi. Con alcuni di questi ho “giocato”, osando accostarli ai miei nonni. Un omaggio a tutti i nonni del mondo, a chi ha avuto la fortuna di conoscerli e a chi ha la fortuna di poterli ancora abbracciare

 

Ciao nonni,

è da tanto che non vengo a trovarvi. Siete tutti e quattro lì, nello stesso luogo. Noi vivi lo chiamiamo “cimitero“, ma è un brutto modo per descriverlo. Soprattutto perché – quando vengo in quel posto – è inevitabile pensare che non ci siete più. Potrei portarvi un fiore, quello è vero, ma non voglio lasciarvi una cosa destinata ad appassire.
Piuttosto stasera preferisco ricordarvi col pensiero, che è l’elemento meno tangibile ma che mi permette realmente di avervi ancora qui.
Per non fare torto a nessuno, parto in ordine alfabetico.

Adriana. Di te conservo l’amore per la famiglia, che è stata la tua vera realizzazione. Intellettuale, facevi citazioni in latino memore della tua gioventù da universitaria. Potrei paragonarti ad Elena Lucrezia Cornaro Piscopia, prima donna laureata al mondo. E se la storia forse mette in dubbio tale primato, per me rispecchi il fascino della donna dotta. Da te ho ereditato l’arte dell’ironia. Sapevi padroneggiare i tempi comici come poche altre e le tue battute sul sesso in dialetto ferrarese mi hanno insegnato che si può sdrammatizzare con stile anche nei momenti più bui. E tu ne hai vissuti, lo so. Indelebile il ricordo di quando mi regalavi monete da 5 lire, quelle col ‘delfino’. Un giorno mia madre ti disse: “ma cosa se ne fa di tutte quelle monetine?”. Tu le risposi: “Veh! – il tuo intercalare – così imparerà che tanti pochi fanno assai”. Oggi non sono certo ricco, però ho imparato che il valore di un dono non sta nella quantità, ma nella qualità.

Angela. O meglio, “Angelina”. Ti ho sempre chiamata così e di certo non smetterò di farlo. Di te conservo la forza, prepotente ed esuberante. Potrei paragonarti a Cristina da Pizzano, perché un giorno di se stessa scrisse “allora diventai un vero uomo”. L’esistenza ti ha condotto a separarti da tuo marito (di cui parlerò più avanti) per iniziare una vita in piena autonomia. Era un’epoca in cui non si era abituati a tutto ciò. Oggi sembrerebbe normale. Hai seguito la tua strada e l’hai fatto con grandissima dignità. Da te ho ereditato l’amore per la cucina. Mi sembra di sentire ancora il profumo delle tue imbattibili seppie in umido, per non parlare della tua crema al limone che è ancora il dolce più buono che abbia mai mangiato. Nel tuo regno volavo su quel vecchio carrello sgangherato mentre mi chiamavi “ranocchio” e il ricordo più divertente è quando tu, novantenne, iniziasti a fumare dicendomi “so vecia, non morirò per colpa di queste”. Hai avuto maledettamente ragione, come sempre.

Giovanni, detto Nino. Di te conservo la capacità di sfruttare al meglio le proprie abilità. Oggi con un inglesismo ti chiamerebbero “a self made man”. Dedicasti la tua vita alla capacità imprenditoriale, che ti consentì di ritagliarti un ruolo importante nella piccola industria locale. Nonostante non sia stato il solo ad aver sofferto della tua separazione con nonna Angelina, potrei paragonarti all’ammiraglio Vettor Pisani. I tuoi racconti sulla guerra mi hanno regalato l’amore per la storia e i libri di questo genere sul mio comodino ne sono la prova. Il tuo successo più grande però, te lo confesso, è stato tuo figlio… che è mio papà. È l’impresa migliore che tu abbia realizzato, rendendolo – magari senza rendertene pienamente conto – il modello di uomo che vorrei essere.

Nillo. Di te conservo pochi ricordi purtroppo, perché te ne andasti quando ero ancora piccolo. Carabiniere, direttore di banca, la tua presenza si avvertiva per la maestosità del tuo carisma. Anche se nacqui quando eri ormai in pensione, ricordo che mi tenevi in braccio durante il Tg3 della sera. Per te era un momento sacro, quello “dell’informazione”, e mi piacerebbe dirti che forse qualche nonno come te ha poi letto i miei articoli. Potrei paragonarti a Francesco Foscari, il cui dogado fu il più lungo della storia della Repubblica di Venezia. Anche una volta svestiti i panni dell’arma, la divisa rimase addosso alla tua pelle. Da te ho imparato l’amore per la natura. Ricordo il tuo orto, perfettamente organizzato e nel quale giocavo mentre mi raccontavi con orgoglio i prodotti coltivati in un particolare momento dell’anno.

Forse prima o poi vi verrò a trovare, ma stasera – oltre ad aver giocato con voi – ho tenuto in vita un fiore per regalarvi il mio ‘grazie’.

Il vostro eterno nipote, Alberto