Fiori di Zucca

Non ho amato mai le recensioni. O meglio. Ho sempre ritenuto che coloro che possano fare recensioni debbano avere le basi per poter condividere un’opinione credibile in merito.
Mi piacerebbe che un film fosse recensito da un regista. Se Gabriele Salvatores recensisse la pellicola di qualche suo collega, sarebbe un’opinione credibile, con cognizione di causa. E ciò varrebbe per ogni altra categoria. Lo ammetto dal principio, quindi. Non sono uno scrittore, perciò la mia è solo un’opinione da lettore.
Nella mia vita ho conosciuto persone che si sono dimostrate – per lo più involontariamente – degli esempi. Un mio ex “capo” riporta nella descrizione del  suo profilo Twitter la frase: “Scrivo, ma mi piace più leggere”. Un’espressione che non solo mi ha colpito, ma che per certi versi ho rubato, rendendola mia. Quindi premetto che ciò che sto per scrivere probabilmente sarà ignorato da molte persone, in quanto non ho alcuna competenza in merito per aver “voce in capitolo”.
Conosco Roberto Zucca da molti anni. Se mi chiedessero da quanto, non saprei dirlo con precisione. Però ricordo chiaramente la sua prima e-mail, la sua prima telefonata.
Allora ero l’addetto stampa della Pallavolo Padova, ruolo che ho ricoperto per 14 anni. Roberto non era un giornalista di qualche quotidiano locale o nazionale. Roberto scriveva per un sito internet. Ad oggi potrebbe sembrare normale, ma 14 anni fa poteva apparire assurdo. Anzi, lo era.
A quei pochi che leggeranno queste righe, ben poco può interessare la mia storia. Però la mia “carriera” da giornalista iniziò per un sito internet, quando internet era ancora il fratello sfigato di un volantino pubblicitario postale che troviamo incastrato nella cassetta delle lettere. Tra il bollettino parrocchiale e il coupon del “compro oro” di turno.
Quando Roberto mi contattò, mi chiese di raccontare la storia di qualche giocatore. Mi chiese un consiglio. In lui trovai da subito non solo spontaneità, ma soprattutto onestà. L’onestà di chi davvero vuole indagare, che vuole scrivere per raccontare qualcosa. Forse a se stesso, prima che agli altri. Oggi la chiamano “empatia”. Poco m’importava per chi scrivesse. Sentii fin dal principio che egli poteva toccare delle corde che altri non avrebbero toccato, spinti quest’ultimi dalla loro voglia di stupire, più che da quella di scoprire. A Roberto ho voluto bene fin dal primo giorno e probabilmente lui lo ha voluto anche a me, dallo stesso momento. Banalizzando, è come se avessimo da subito capito che nessuno dei due voleva prendere per il culo l’altro.
Tre giorni fa Roberto mi ha regalato il suo libro: “Non sono un fallito!”. Un libro che ho divorato e finito in pochissimo tempo, surclassando il sonno della sera dopo ore di lungo e pesante lavoro.
Lo ammetto. Poche volte mi capita di aver voglia di continuare a leggere, a meno che non si tratti di quei grandi classici che surclassano il tempo. Il suo libro è la fotografia di un mondo contemporaneo, un’opera di acuta intelligenza e ironia. Un mix di sorrisi e pensieri amari, che ognuno di noi vive nella propria esperienza di vita, a prescindere dal lavoro che svolga.
Caro Roberto. Mi hai emozionato, mi hai permesso di condividere pensieri che talvolta non sapevo esprimere. Quindi sappi che il libro digitale che mi hai regalato non mi è bastato. L’ho comprato. In versione cartacea. Mi arriverà fra qualche giorno, perché voglio che ci sia la tua dedica.
A chi avrà avuto la forza e la pazienza di arrivare alla fine di questa insolita non-recensione, dico solo una cosa: compratelo. Vi aiuterà a vivere meglio, a pensare che non siete soli. Ma soprattutto che i vostri, i nostri fallimenti, possono essere opportunità. Basta saperli cogliere, coltivare e veder fiorire.
Grazie al tuo inno contro l’ego, quello che oggi va tanto di moda, quello che purtroppo leggiamo nelle auto descrizioni incensanti di chi prova a vendere l’immagine del proprio io.
Visto che tu sei un sognatore, visto che lo siamo entrambi, sappi che in un ipotetico “nostro giornale” ti vorrei avere con orgoglio all’interno dello staff, perché sei molto più vero di tante persone che si prendono troppo sul serio.
E non sai quante ce ne sono, Roberto.
Siamo circondati.

 

 

Alberto Sanavia