Il rovere e Venezia: un legno fondante

Il 4 gennaio 1588 è una data importante per Venezia. Non tanto per la nascita di qualche illustre personaggio che contribuì a glorificarne la storia, ma perché in quel giorno venne istituito il Provveditore al bosco del Montello[1], in provincia di Treviso.
Sia questo “pubblico bosco”, che quello di Montona in Istria, erano per lo più ricchi di legno di rovere. All’epoca tali boschi dipendevano direttamente dal Consiglio dei Dieci mediante Provveditori da questo eletti, con la caratteristiche che essi dovevano essere residenti a Venezia. A loro era dato il compito d’ispezione nel territorio a cui erano destinati e, localmente, si trovavano organi minori (i Capitani).

 

Per Venezia, l’importanza del legno di rovere è “fondante”. Mai parola fu più azzeccata.

 

La testimonianza scritta che ne spiega chiaramente le ragioni la si può trovare chiaramente nelle parole dell’editore d’origine friulana Giuseppe Maria Picotti, che giunse in Laguna per la prima volta nel 1775, inizialmente come assistente alle operazioni medico-chirurgiche presso gli ospedali della città: «Il rovere è il legno che noi conosciamo pel più resistente alla corrosione delle acque marine, e convenire dobbiamo che ov’esso venga seppellito nei fanghi ad uso di fondamenta, eterna quasi ne conserva la sua resistenza. Finché pur egli resti sempre coperto dalle acque, anche fuori dei fanghi, grandissima si ritrova la sua durata, ma qualora dividasi fra l’acqua e l’aria, nel punto di questa divisione viene corroso, cred’io, dagli opposti principi di questi due elementi, ed in pochi anni si rende affatto inservibile. L’esperienza l’abbiamo continuamente sott’occhio nei pali conficcati alle rive delle case opulenti, e questa non ci lascia punto dubitare»[2].

La stessa chiesa di S. Marco «poggia sopra una robusta palafitta di olmi, posti sotto un doppio letto di assoni di quercia o di rovere, ai quali sovrastano cinque scaglioni d’una pietra grigia, detta pietra di Muggia»[3].

 

Il 28 marzo 1590 la magistratura del bosco del Montello fu allargata a tre membri. Sempre il 4 gennaio – ma del 1601 – insieme al Camerlengo, due deputati del Consiglio dei Dieci furono incaricati di «far tutte quelle provisioni che stimerano necessarie» a proposito della Valle di Montona. Sarà nel 16 giugno del 1601 che anche per quest’ultimo verrà istituito un Provveditore, al quale ne sarà affiancato un secondo il 24 novembre 1611.

La duttilità del legno di rovere trova applicazione anche nella costruzione d’imbarcazioni: testimonianza è data dalla richiesta di Bastardelle (galee) e Maggeri di rovere da costruire sia in tempo di pace che di guerra[4].

 

Altre aree di principale prelievo boschivo erano quelle di Somadida in Cadore, del Cansiglio vicino a Vittorio Veneto, di Cisiliaris in Friuli e di Ca’ Tron vicino ad Altino. Una volta tagliati, i tronchi venivano fatti discendere al mare flottando sui fiumi a cura degli zattieri, una categoria ormai scomparsa, ma che ancor oggi rimane nella memoria delle genti del luogo, e quindi stivati in arsenale secondo procedure e metodi molto precisi[5].

 

Ed è proprio strettamente legato al rovere il nome da cui deriva la nota “Fondamenta delle Zattere” che segna il limite meridionale della città di Venezia: si tratta delle fondamenta di Dorsoduro, tra San Basilio e la Dogana. Furono realizzate tra il 1520 e il 1536, unificando dei tratti già esistenti. Sarebbe proprio in vicinanza di questa zona che nell’810 avrebbe avuto luogo lo scontro navale tra l’esercito franco agli ordini di Pipino d’Italia, figlio di Carlo Magno, e le truppe della nascente Repubblica di Venezia. A quelle fondamenta approdavano le zattere di legname provenienti dal Brenta e dal Piave, legname che poi era immagazzinato o lasciato in acqua a stagionare, proprio come il rovere[6].

Dalle imbarcazioni ai loro attracchi, «le sponde de’ canali dalla nuova Porta dell’Arsenale fino al Porto di Chioggia sono state corredate d’ambi i lati di fari, bricole, paline e pennelli, e furono impiegati 8.148 pali di rovere, muniti della necessaria ferramenta per poter compaginare tutto ad unità, e questi pali sono quelli che servono di mede o segnali, ed in pari guisa, al caso, di ritenuta agli stessi Vascelli»[7].

 

L’archivio intitolato ai “Provveditori sopra boschi” è eterogeneo ed è prevalentemente formato da materiale delle varie magistrature interessate già a partire dal 1116. Tale archivio quindi non è organico e parzialmente distribuito per territorio e per materia, a seconda degli uffici subentrati nella gestione dei boschi, specie con riguardo anche alle costruzioni navali dopo la caduta della Repubblica. Il Conservatorato (poi Ispettorato generale dei Boschi), sarà trasferito da Treviso a Venezia nel 1830, che ne effettuò il versamento nel 1867 insieme a quello di fondi ottocenteschi, ma con elenco a sé. Nell’Amministrazione forestale veneta sono presenti i catastici dei boschi che spettano al magistrato all’Arsenale, oltre a due serie di materiale poco ordinato, intitolate rispettivamente “Provveditori ai boschi” e “Provveditori sopra legne e boschi” con contenuti del tutto simili.

 

Non da ultimo, anche se in misura marginale perché utilizzato soprattutto dopo la fine della Repubblica, il rovere avrà largo utilizzo anche nell’affinazione del vino. «I requisiti che deve presentare il legname da far botti sono la compattezza, la elasticità e la uniformità delle fibre, l’assenza assoluta di nodi, tarli, o altri difetti che lasciano trasudare il vino, e la suscettibilità di durare per un tempo indefinito quando le botti siano mantenute in buone condizioni. Oltre di ciò, come risulta dalla esperienza dei paesi più avanzati nella Enologia, il vino deve potere acquistare dai principii estrattivi del legno stesso certe doti che in recipienti di altra materia inerte ed impermeabile è dimostrato che non guadagnerebbe mai. Tutti gli Enologi si trovano d’accordo su questo punto e danno unanimi la preferenza al legname di rovere come quello che riunisce tutti codesti requisiti»[8].

Come ben ricorda Alessandro Marzo Magno, «Venezia non esisterebbe senza la montagna, senza il legno dei boschi alpini, istriani e dalmati, con un’interdipendenza tra mare e monti – e con l’utilizzo dei fiumi come arterie di trasporto – della quale si è persa la memoria»[9].

 

Una memoria che rimane però racchiusa in quei legni di rovere delle fondamenta veneziane, che resistono ai secoli e che dovranno affrontare altri secoli, sempre più sommersi dall’acqua ma pronti a resistere. Duri i banchi.

 

Alberto Sanavia

 

 

[1] Archivio di Stato di Venezia, Tiepolo Maria Francesca, 1983

[2] Progetto per l’erezione di un gran ponte congiuntivo – Venezia colla terraferma, Giuseppe M. Picotti, 1830

[3] Guida artistica e storica di Venezia e delle isole circonvicine, 1881

[4] Navi da guerra costruite nell’Arsenale di Venezia dal 1664 al 1896, Cesare Augusto Levi, 1896

[5] Le armi di San Marco, Società italiana di storia militare, 2011

[6] Il grande libro dei quiz sulla storia di Venezia, Lara Pavanetto, 2021

[7] Prospetto delle conseguenze derivate alle Lagune di Venezia ai porti ed alle limitrofe provincie, dopo la diversione de’fiumi, analisi e sviluppo della dottrina, coll’applicazione al porto di Malamocco, Tomo I, Vol. 1, Antonio Luigi de Romano, 1815

[8] Dizionario metodico-alfabetico di viticoltura ed enologia, Giuseppe Cusumano, 1889

[9] Venezia, Alessandro Marzo Magno, 2022